top of page
andrea-bogoni-icon.png
Andrea Bogoni

Welcome to the (music) machine



Viviamo in un’epoca in cui la musica non è più un bene tangibile ma un flusso, un’onda sonora pronta ad assecondare ogni nostro desiderio musicale con un semplice tap.


Con oltre il 30% di market share, Spotify è oggi l’indiscussa regina di questo nuovo mondo. Ma, come spesso accade nei regni, non tutto ciò che luccica è oro, e l’azienda svedese non è esente da critiche e difficoltà, nonostante il suo apparente monopolio sul mercato dello streaming.


The great gig in the sky 

Partiamo dalle note positive, quelle che ci fanno amare Spotify. Il servizio è un vero e proprio paradiso musicale. Che tu sia un nostalgico degli anni ‘80, un fanatico dell’indie rock o un devoto del jazz, Spotify ti serve tutto su un piatto d’argento, con un livello di personalizzazione che rasenta la magia. 


Grazie a sofisticati algoritmi, la piattaforma non solo ci conosce, ma quasi ci anticipa, suggerendo playlist su misura che sembrano uscite direttamente dalla nostra mente.


L'innovazione è uno dei pilastri fondamentali della crescita di Spotify. La piattaforma ha trasformato il modo in cui fruiamo dei contenuti audio, investendo massicciamente nei podcast e introducendo funzionalità all'avanguardia come l'AI DJ, un nuova tecnologia sviluppata in collaborazione con OpenAI, che promette di elevare l'esperienza d'ascolto a un livello superiore di interazione e personalizzazione.


Spotify AI DJ


E poi, c’è la portata globale: Spotify non è solo un fenomeno occidentale, ma una forza presente in quasi ogni angolo del pianeta, con una crescita particolarmente forte in America Latina e Asia.


The dark side of the moon 

Come in ogni buona storia, però, c’è un rovescio della medaglia. Spotify non è esente da critiche, anzi, ne è piena fino all’orlo. Molti artisti hanno protestato per denunciare i bassi guadagni derivanti dalle royalties. È una questione spinosa, che porta alla luce un problema più ampio: quanto è giusto pagare chi crea arte in un mondo dominato dai giganti dello streaming? E Spotify, con la sua posizione dominante, non può che essere al centro di queste controversie.


Credo si possa dire senza timore di essere smentiti che Spotify ha anche contribuito, seppur indirettamente, alla distruzione del mercato musicale tradizionale. Le case discografiche, che un tempo dominavano incontrastate l’industria, si sono ritrovate a dover cedere gran parte del loro potere alle piattaforme di streaming. 

La centralità del singolo brano, la riduzione delle vendite di album fisici e la disintermediazione degli artisti, che possono ora pubblicare direttamente sulle piattaforme, hanno sconvolto il modello di business dell’industria musicale tradizionale.


Rough Trade shop, Londra


In questo scenario turbolento, assistiamo a un sorprendente rinascimento del vinile che, nonostante i numeri da nicchia rispetto allo streaming (1,2 miliardi di dollari di fatturato negli USA nel 2022 contro i 13 miliardi dello streaming), continua a crescere in modo inaspettato. In un'epoca dominata dal digitale e dall'immediatezza, il vinile è diventato il simbolo di una resistenza romantica al cambiamento. Il suo fascino tattile, il suono caldo e l'esperienza fisica di possedere un disco rappresentano una nicchia in espansione, che sfida la marcia inarrestabile dello streaming. Per molti, il vinile è più di un formato musicale: è una ribellione contro l'effimera esperienza della "fast music", un modo per recuperare un legame più autentico e profondo con la musica.


Double bubble

C’è poi un altro aspetto meno evidente, ma altrettanto significativo: gli algoritmi che tanto amiamo per la loro capacità di suggerirci la musica perfetta per ogni momento, tendono per propria natura a rinchiuderci in una filter bubble. Questo fenomeno, dettato dall’esigenza delle piattaforme di fidelizzare i propri utenti, ci spinge ad ascoltare sempre gli stessi generi, artisti e persino brani, limitando la nostra esposizione a nuove esperienze musicali. 


Paradossalmente, la stessa app che potrebbe ampliare illimitatamente i nostri orizzonti, tende ad intrappolarci in una sorta di gabbia dorata dove la varietà e la scoperta lasciano il posto a una ripetitività confortante e soffocante al tempo stesso.


Money, it’s a gas

Qui arriviamo al cuore del problema: fare profitti sul web, anche quando si ha una posizione dominante, è un’impresa tutt’altro che semplice. Spotify, nonostante il suo apparente monopolio, ha faticato per anni a raggiungere la redditività. 


Il mercato digitale è complesso, con costi fissi elevati e margini di profitto sottili spesso dettati dalle aspettative degli utenti che considerano il web un mondo dove i servizi sono per definizione a basso costo se non addirittura gratuiti. Le regole del gioco qui sono spietate, l'innovazione deve essere continua e sostenuta da un modello di business robusto.


Spotify è l’esempio perfetto di come, anche in un contesto di oligopolio, le sfide siano enormi. La piattaforma ha finalmente raggiunto l’agognata redditività nel 2024, ma la strada per arrivarci è stata lunga e tortuosa. Ed è una strada che dovrà continuare a percorrere con cautela, perché il mondo digitale è in costante evoluzione, e ciò che oggi è un successo domani potrebbe non esserlo più.



 

Credits: - Immagini 1 e 2 di Spotify Technology

- Immagine 3 di Rough Trade Records

Comments


bottom of page