Qualche giorno fa mi è capitato di entrare nel negozio Swatch di via Soave a Lugano. Ho sempre avuto un debole per questa marca e quel giorno mi trovavo lì per fare un regalo ad un caro amico.
Spulciando tra un modello e l’altro devo essermi trattenuto in negozio non più di venti minuti. Nel mentre una dozzina di persone, una dopo l’altra, sono entrate decise per acquistare lo stesso modello: il MoonSwatch, l’orologio che reinterpreta il celebre Omega Speedmaster che Neil Armstrong indossava sulla luna, il giorno del grande passo per l’umanità. Curioso chiedo spiegazioni alla commessa che mi risponde: "è tutti i giorni così, ogni settimana ce ne arriva una partita nuova e quella dopo sono già finiti”.
Devo dire che, a distanza di oltre un anno dal lancio dello Speedmaster firmato Swatch, mi ha colpito il clamore generato dalla forza narrativa di un brand che fino a poco tempo fa sembrava oppresso da tutto un nuovo tecnologico segmento, quello degli smartwatch.
Omega Speedmaster (1967) e OmegaxSwatch MoonSwatch (2022)
Ad ogni modo, di MoonSwatch si è già parlato moltissimo e a me tutto questo rumore ha fatto venire in mente una storia, meno nota forse, ma a mio parere altrettanto interessante. La Svizzera non è certo terra di motori (non me ne voglia Peter Sauber) eppure questa è la storia di un’icona svizzera dell'automobilismo, e forse in effetti dovremmo dire svizzero-germanica.
Non tutti sanno che la Smart è nata da una precisa idea di Nicolas Hayek, il geniale fondatore della Swatch che negli anni ‘80 salvò il settore orologiero elvetico, allora in crisi a causa della concorrenza giapponese.
All’inizio degli anni ‘90, in seguito ai primi echi mediatici sul riscaldamento globale, Hayek vide l’opportunità di introdurre sul mercato una “city car ecologica, divertente, economica, per due persone e due casse di birra”. Sarebbe stata la Swatch delle automobili.
In quegli anni l’iconico brand svizzero era in pieno boom e le risorse economiche certamente non mancavano, tuttavia Hayek sapeva che scontrarsi coi giganti del settore automobilistico poteva risultare fatale anche per il gruppo orologiero più grande al mondo. Fu così che presentò la sua rivoluzionaria idea alla Volkswagen con la quale iniziò un progetto congiunto per la realizzazione della vettura. Ma la liaison con l’azienda di Wolfsburg durò poco e Volkswagen finì per imboccare da sola una strada ben più tradizionale che portò alla nascita della Lupo.
Tuttavia l’imprenditore svizzero non era tipo che si dava facilmente per vinto e ben presto riuscì a stringere una nuova joint-venture con Daimler, all’epoca proprietaria di Mercedes-Benz. Hayek era determinato a realizzare un’auto radicalmente innovativa ed ecologica, con motore elettrico o almeno ibrido. I tempi però non erano ancora maturi per l'elettrificazione e la dirigenza germanica spingeva per una soluzione motoristica a combustione interna che invero era comunque innovativa per via dell’architettura tricilindrica turbocompressa e la cubatura minimalista, caratteristiche che consentivano emissioni estremamente contenute.
Hayek concepiva un mezzo originale, fresco e personalizzabile che, proprio come un orologio Swatch, fosse in grado di esprimere molteplici personalità.
Era il 1994 quando Mercedes annunciò pubblicamente la partnership con il brand svizzero presentando i primi prototipi Eco-Sprinter e Eco-Speedster, la prima con motore elettrico e la seconda col più concreto tre cilindri a benzina. Come da concetto di Hayek, le auto vennero costruite attorno a una solidissima cella di sicurezza, erano fortemente personalizzabili ed assemblate con una quantità ridotta al minimo di pezzi, in gran parte riciclabili.
Prototipi Mercedes Eco-Sprinter e Eco-Speedster (1994)
Swatch avrebbe voluto che il nuovo brand portasse in qualche modo il suo nome: “Swatchmobile” e “Swatch Car” erano le proposte sul tavolo. Mercedes non era d’accordo e finì per far valere il suo 51% nella joint-venture, optando per quello che presentarono come un compromesso: “Smart”, acronimo per “Swatch Mercedes Art”. Non si può certo dire che a Stoccarda mancassero di immaginazione.
Ebbene, lo scontro sul nome unito alle divergenze filosofico progettuali legate al motore, portò Hayek a staccarsi dalla joint-venture, lasciando i tedeschi condurre da soli il progetto.
La Smart nella sua veste finale venne presentata al salone di Parigi del 1998. Lunga 2,5 metri e larga 1,51 era l’unica vettura al mondo che poteva essere parcheggiata trasversalmente. Per essere così piccola risultava sorprendentemente confortevole e sicura. Gli interni erano essenziali, funzionali, colorati ed estremamente innovativi per l’epoca. Le altre city car sul mercato invecchiarono tutte d’un colpo.
Smart City-Coupé (1998)
Come voleva Hayek le Smart vennero commercializzate tramite una rete di concessionarie dedicate con gli iconici espositori a torre che iniziarono a spuntare un po’ in tutta Europa.
Con una media di 100.000 vetture vendute all’anno per oltre due decenni, innumerevoli configurazioni, motorizzazioni benzina, diesel, elettriche, e l’onore di un posto all’esposizione permanente del MoMa, la Smart è entrata nella storia dell’automobile. A dispetto di altri noti tentativi, come la mitica BMW Isetta e le più recenti Toyota iQ e Renault Twizy, la piccola auto svizzero-tedesca è l'unico caso di microcar al mondo ad aver mai sfondato.
Nel solido e un po’ conservatore mercato automobilistico della fine degli anni ‘90, la storia dell’outsider Hayek e della sua piccola auto impossibile affascina per l’irriverenza della trama e l’epilogo dirompente che a me ha ricordato un noto adagio di Albert Einstein:
“Tutti sanno che una cosa é impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sapeva e la inventa”.
Non siete convinti? Chiedete al signor Musk.
Credits:
- Testo originale: ho scritto questo articolo senza supporto di IA, perché mi piace farlo da me.
- Versione inglese col supporto di Paris Nobile - Immagine di copertina: Swissinfo.ch
- Swatch and Omega watches photo: Swatch Group
- Altre immagini: Mercedes-Benz AG
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