Fra i privilegi che Internet ci offre quello che apprezzo di più è probabilmente il catalogo musicale infinito offerto dai vari servizi di musica in streaming come Spotify, Deezer, Tidal ed Apple Music.
La possibilità di scegliere fra migliaia di artisti diversi, esplorare nuovi generi, scoprire autori suggeriti in base ai propri gusti musicali, tutto questo ha un valore che personalmente trovo difficile ridurre al classico piano mensile, ma non stiamo a dirlo a Daniel Ek.
Detto questo, c’è una sola piccola cosa che invidio all’epoca analogica, e non si tratta della qualità sonora del vinile che è apprezzabile ormai solo attraverso strumentazioni professionali. Quel che mi manca oggi è la copertina, ridotta ad una miniatura cliccabile sull’interfaccia di un software, oggi ha perso dignità e direi la sua stessa funzione.
Una cosa trovo singolare a questo proposito: le copertine degli album jazz sono accomunate da uno stile particolare per cui risultano quasi sempre riconoscibili come tali. Nascondendo il nome del musicista se ne indovina comunque facilmente il genere. Lo stesso non accade per altri generi musicali, se non per l’heavy metal che però è caratterizzato da un’iconografia precisa e ridondante.
Ma cosa accomuna le copertine degli album di John Coltrane a quelle di Tony Allen e Jon Batiste?
La risposta sta nel nome di Reid Miles, il geniale designer modernista americano che, col supporto del fotografo Francis Wolff, ha disegnato più di cinquecento copertine fra gli anni ‘50 e ‘60, definendo l’identità visiva della Blue Note Records e stabilendo di fatto i canoni dell'iconografia jazz.
Miles non ha solo disegnato le più belle copertine jazz di sempre, ha anche influenzato moltissimi designer che hanno contribuito ad affermarne lo stile in ambito musicale nel corso degli anni fino ai giorni nostri. L'uso creativo dei caratteri tipografici, la sua predilezione per il contrasto e l'asimmetria hanno evoluto lo stile grafico dei dischi di musica jazz, fino a renderli tutti in qualche modo legati fra loro come da un sottile fil rouge, indipendentemente dalla casa discografica.
Qui sotto si trova una selezione delle mie cover preferite. A guardarle vien voglia di incorniciarle e appenderle alla parete più ampia di casa, piuttosto che nasconderle nell’interfaccia grafica di Spotify.
PS: Curioso é il fatto che al signor Miles il jazz nemmeno piacesse. Se l'avesse amato del resto come avrebbe potuto venderlo?
"No room for squares", Hank Mobley, Blue Note, 1964 - Cover design: Reid Miles.
"Mode for Joe", Joe Henderson, Blue Note, 1966 - Cover design: Reid Miles.
"It's time!", Jackie McLean, Blue Note, 1964 - Cover design: Reid Miles.
"A new perspective", Donald Byrd band & voice, Blue Note, 1964 - Cover design: Reid Miles.
"Into somethin'", Larry Young, Blue Note, 1965 - Cover design: Reid Miles.
"Blue train", John Coltrane, Blue Note, 1958 - Cover design: Reid Miles.
"Volume 1", Sonny Rollins, Blue Note, 1957 - Cover design: Reid Miles.
"Midnight blue", Kenny Burrell with Stanley Turrentine, Blue Note, 1963 - Cover design: Reid Miles.
"Chronology of a dream", Jon Batiste, Verve, 2019.
"Liquid spirit", Gregory Porter, Blue Note, 2013.
Credits: - Traduzione inglese di Paris Nobile
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