Fra le tante automobili consegnate alla storia dell’automobilismo da Enzo Ferrari, una é oscurata da un mito che sembrerebbe negarle perfino l’autenticità.
Quando fu presentata al pubblico, al Salone di Torino del 1967, la Dino 206GT venne subito considerata una “baby Ferrari”, per via delle dimensioni ridotte della carrozzeria e del piccolo motore a sei cilindri, montato in posizione centrale.
C’é da pensare che la nuova berlinetta rappresentasse un vero e proprio sconvolgimento per Enzo Ferrari dal momento che fino ad allora, per suo preciso volere, le rosse di Maranello avevano montato motori rigorosamente a dodici cilindri, posizionati davanti all’abitacolo - “mai mettere il carro davanti ai buoi” diceva.
A questa piccola e rivoluzionaria creatura, Enzo Ferrari diede il nome del figlio Alfredo, detto Dino, che aveva contribuito a progettarne il motore e che morì a soli 24 anni a causa di una grave distrofia muscolare.
L’amore e la devozione di Enzo per il figlio Alfredo é cosa nota per gli appassionati, più controversa invece sarebbe la motivazione che avrebbe spinto il padre a creare un nuovo marchio per la Dino.
Al posto del cavallino rampante sulla nuova nata faceva mostra di sé un nuovo logotipo, ricavato dalla stilizzazione della firma di Alfredo su un fondo giallo che richiamava il celebre marchio delle sorelle maggiori.
Secondo alcuni il marchio Dino fu usato al posto di quello Ferrari perché un modello con meno di 12 cilindri non sarebbe stato degno del Cavallino Rampante.
Altri sostengono che Enzo Ferrari sarebbe stato convinto ad adottare un marchio diverso da alcuni influenti clienti che temevano il deprezzamento del proprio parco auto in seguito all’introduzione in gamma di un modello di fascia inferiore.
Queste teorie non reggono se si pensa che il Cavallino Rampante era già presente sulle vetture Ferrari a quattro e sei cilindri che da anni correvano in Formula 2.
Per usare le parole di un esperto in materia come Brian Long:
“The only logical reason for Enzo Ferrari naming the car Dino was to honour his son. After all, his love of the boy was deep and well known, and had the different brand name been used in an attempt to distance the car from the Ferrari stable, he’d have hardly used his beloved son’s name and signature.”
Ad ulteriore prova di autenticità, basti pensare che oggi é paradossalmente difficile trovare una Dino senza qualche stemma Ferrari sulla carrozzeria. Moltissimi proprietari e perfino qualche importatore hanno fregiato le loro vetture col sigillo che meritavano. A mio modo di vedere si é trattato di una sorta di “user-generated branding” * ante litteram, un processo sociale spontaneo che nel tempo ha riposizionato l’auto dove il pubblico lo riteneva più opportuno.
In definitiva, ci sono quattro ragioni per cui trovo unica la Dino.
La prima é che si tratta di un prodotto profondamente autentico. La Dino ha dimostrato di essere una Ferrari nonostante il marchio del Cavallino le fosse stato in qualche modo negato. Il suo design, le doti dinamiche, la cura costruttiva: la Dino aveva in sé il DNA delle Rosse di Maranello. Non sono molti i prodotti autentici, quelli di cui riconosceresti il produttore anche senza vederne il marchio, la Dino é senz’altro uno di questi.
La seconda ragione é legata al coraggio che quest’auto ha rappresentato per Ferrari. Il coraggio di rompere uno schema precostituito, un limite autoimposto e ormai anacronistico che avrebbe rischiato di frenare la spinta innovativa della casa di Maranello. Quel coraggio il padre, forte e orgoglioso, l’ha trovato nel figlio, giovane e debole, ma dotato delle stessa passione.
Senza la Dino poi, oggi non avremmo quella serie di Gran Turismo a motore centrale che incarnano l’essenza stessa del Cavallino Rampante: 308 GTB, 288 GTO, 348, F 355, 360 Modena, F430, 458 Italia e anche l’odierna 488 GTB. Senza quell’auto controversa, che era “quasi una Ferrari” secondo la brochure dell’epoca, la Ferrari di oggi non sarebbe sé stessa.
Un’altra caratteristica che rende unica la Dino é proprio la storia del suo nome: un’operazione di branding romantica, spericolata, forse maldestra se considerata con i criteri del marketing contemporaneo, ma anche la dedica più dolce che Enzo Ferrari potesse fare al figlio scomparso.
A mio figlio.
Crediti:
- Fotografie: Dino 246GT, 1969; fotografo: sconosciuto; fonte: Andoniscars
- Traduzione inglese di Paris Nobile
Link:
- Ulrike Arnhold, User Generated Branding : Integrating User Generated Content into Brand Management, Springer Gabler